"La ruggine di cercare"

  • Descrizione
Mauro zo Maraschin (poeta, artista e coordinatore Eventi al Festival Internazionale della Poesia di Genova) - 2014

È improprio etichettare l'opera di artisti che si ispirano al respiro del loro mondo.

L'opera di Maria Capellini non è soltanto arte di riciclo ma è ispirata da una poetica che risale alle origini di un mondo bellissimo (quello delle Cinque Terre) che comunica con lei anche attraverso ciò che il mare riporta, e purtroppo il nostro mare e la recente disastrosa alluvione ci portano un messaggio impellente: questo nostro mondo bellissimo non è più rispettato, ma soltanto sfruttato, consumato e progressivamente distrutto.

Quello che interessa a Maria Capellini sono le tracce con inclusi i messaggi che ci conducono comunque ad un passato, a tracce di onde che rilasciano curvilinee sulle dure rocce, attraverso le quali Maria intravede sirene incantatrici ricondurci ad un mondo acqueo, arcano e femmineo.

Un mondo in cui il dominio sulla Natura è concluso per sempre. La ricerca si sposta sulle lamiere arrugginite che Maria Capellini si preoccupa di raccogliere dalle spiagge o dagli scogli per assemblare un mondo di ricordi
ancora recenti ma molto più semplici e puliti.

È calata la sera sul nostro tempo, ma non è ancora notte: ci sono ancora silenzi lontani che evocano momenti perduti in fondo a noi; ci manca solo il tempo per ascoltare, per sognare, per vagare senza mete.

È importante sapere che ci sono artisti che lavorano in una continua ricerca di oggetti che si rispecchiano attraverso un mondo interiore.

Assemblaggi e collage sono antichi e universali come l'arte popolare. Già Carlo Crivelli inseriva gemme, metalli preziosi e oggetti simbolici in molti suoi ritratti. Simone Martini e Gentile da Fabriano ricorrevano usualmente all'applicazione di pietre preziose e altri oggetti.

L'avventura della materia e la crisi dell'oggetto s'instaurano però in maniera del tutto diversificata ed in maniera robusta nelle avanguardie artistiche del novecento.

Nel cubismo e nel futurismo si parlerà di quadro oggetto e scultura oggetto. Fu Picasso per primo a utilizzare lettere stampigliate nel contesto di una natura morta dipinta ed anche il primo collage dove incollò ad un disegno un ritaglio di carta stampata. Ma il primo artefatto della storia che divenne un'opera d'arte fu la “Ruota di bicicletta” di Marcel Duchamp. “… il meraviglioso non è lo stesso in tutte le sue epoche; esso partecipa oscuramente a una sorta di rivelazione generale di cui ci pervengono solo alcuni elementi; le rovine romantiche, il manichino moderno o qualunque altra cosa atta a turbare la sensibilità umana per un certo periodo” (primo manifesto del movimento surrealista, Breton p. 90).

Il meraviglioso è nascosto dietro l’angolo della nostra vita e ci aspetta, fuori dal tradizionale commercio dei valori di serie. Secondo Lino Gabellone nel suo testo “L’oggetto surrealista” (Einaudi, 1977) l’oggetto è considerato come un qualcosa di demiurgico, capace addirittura di condurre i percorsi poetici di chi lo sa guardare attraverso gli arcani sentieri perduti del nomadismo meraviglioso; e qui l’oggetto può diventare anche macroscopico ed interessare persino la forma di un paesaggio come quella di una città.

Questo tipo di manifestazione del meraviglioso accade, a maggior ragione, all’uomo moderno che è circondato da oggetti che servono a precisi scopi, si scambiano, si trovano in un loro preciso contesto.

Però, il “potere magico” degli oggetti è efficace se questi sono svuotati di tutte le loro determinazioni: funzionamento, valore d’uso, contesto, valore di scambio.

Particolarmente affascinanti a riguardo, per i surrealisti, sono le circostanze in cui un oggetto si trova affiancato senza ordine e senza senso logico ad altri oggetti, quando cioè si elimina la logica della produzione in serie e del mercato. Insomma qualunque oggetto, come quello trovato su una spiaggia o al mercato delle pulci, è sfuggito al ciclo produzione -> vendita -> consumo.

A questo punto il destino di un qualsiasi oggetto può seguire due strade: la spazzatura o invece la reintegrazione in un nuovo ciclo che non potrà ripetere il primo, ma che, in senso creativo, preveda una sua rivisitazione, ancora più vitale della prima.

A questo proposito occorre nominare ancora una volta Breton che, citando un apologo Zen ci fa capire in pieno che significhi questo termine “rivisitazione dell’oggetto”. Ecco l’apologo: “Un giorno Basho modificò ingegnosamente, per bontà buddistica, un haiku crudele composto dal suo spiritoso discepolo Kikaku. Costui aveva detto: una libellula rossa strappatele le ali un peperoncino! Basho così lo corresse: un peperoncino mettetegli le ali una libellula rossa!” Questo per dire che si tratta di un percorso di ascesa dal banale al non banale, dal terrestre all’alato, che sposta l’indice del rapporto del desiderio dall’interno dell’oggetto alla relazione d’accoppiamento tra altri diversi oggetti che, messi in relazione, “fanno l’amore”.

Tutta l'opera di Maria Capellini è creazione in relazione amorevole tra il suo mondo interiore, la ruggine dei suoi ricordi e la poesia dell'odierno.